- 20
FAUSTO MELOTTI | Hotel Dieu
估價
250,000 - 350,000 EUR
Log in to view results
招標截止
描述
- Fausto Melotti
- Hotel Dieu
- ottone
- cm 97x53,5x27
- Eseguito nel 1967
來源
Collezione Aicardi, Torino
Collezione privata, Torino
ivi acquistato dall'attuale proprietario nel 1985 circa
Collezione privata, Torino
ivi acquistato dall'attuale proprietario nel 1985 circa
展覽
Roma, Galleria Il Segno, Fausto Melotti. Sculture e disegni. 1962-1967, 1968, n. 14, illustrato
Reggio Emilia, Sala Comunale delle Esposizioni, Fausto Melotti. Sculture, Disegni e Pitture. 1933-1958, 1968, n. 16, illustrato
Ferrara, Palazzo dei Diamanti, Centro Attività Visive, Fausto Melotti. Sculture, disegni e pitture dal 1935 ad oggi, 1968, n. 14, illustrato
Firenze, Galleria La Piramide, Fausto Melotti, 1975
Sanremo, Galleria Beniamino, Fausto Melotti, 1975, n. 1, illustrato
Parma, Università di Parma, Sala delle Scuderie in Pilotta, Fausto Melotti, 1976, p. 193, n. 162 illustrato
Reggio Emilia, Sala Comunale delle Esposizioni, Fausto Melotti. Sculture, Disegni e Pitture. 1933-1958, 1968, n. 16, illustrato
Ferrara, Palazzo dei Diamanti, Centro Attività Visive, Fausto Melotti. Sculture, disegni e pitture dal 1935 ad oggi, 1968, n. 14, illustrato
Firenze, Galleria La Piramide, Fausto Melotti, 1975
Sanremo, Galleria Beniamino, Fausto Melotti, 1975, n. 1, illustrato
Parma, Università di Parma, Sala delle Scuderie in Pilotta, Fausto Melotti, 1976, p. 193, n. 162 illustrato
出版
Carlo Belli, Le sculture sottili di Fausto Melotti, in "Domus", n. 464, Milano 1968, p. 44, illustrato
Janus ed., Guida all'opera di Fausto Melotti, in "Bolaffi. Catalogo della scultura italiana", n. 5, Milano 1981, p. 129, illustrato
Germano Celant, Ida Gianelli e Antonella Soldaini, Melotti, Catalogo generale, Sculture 1929- 1972, Tomo primo, Milano 1996, p. 187, n. 1967 6, illustrato
Janus ed., Guida all'opera di Fausto Melotti, in "Bolaffi. Catalogo della scultura italiana", n. 5, Milano 1981, p. 129, illustrato
Germano Celant, Ida Gianelli e Antonella Soldaini, Melotti, Catalogo generale, Sculture 1929- 1972, Tomo primo, Milano 1996, p. 187, n. 1967 6, illustrato
Condition
The professional condition report is available on request from the department.
"In response to your inquiry, we are pleased to provide you with a general report of the condition of the property described above. Since we are not professional conservators or restorers, we urge you to consult with a restorer or conservator of your choice who will be better able to provide a detailed, professional report. Prospective buyers should inspect each lot to satisfy themselves as to condition and must understand that any statement made by Sotheby's is merely a subjective, qualified opinion. Prospective buyers should also refer to any Important Notices regarding this sale, which are printed in the Sale Catalogue.
NOTWITHSTANDING THIS REPORT OR ANY DISCUSSIONS CONCERNING A LOT, ALL LOTS ARE OFFERED AND SOLD AS IS" IN ACCORDANCE WITH THE CONDITIONS OF BUSINESS PRINTED IN THE SALE CATALOGUE."
"In response to your inquiry, we are pleased to provide you with a general report of the condition of the property described above. Since we are not professional conservators or restorers, we urge you to consult with a restorer or conservator of your choice who will be better able to provide a detailed, professional report. Prospective buyers should inspect each lot to satisfy themselves as to condition and must understand that any statement made by Sotheby's is merely a subjective, qualified opinion. Prospective buyers should also refer to any Important Notices regarding this sale, which are printed in the Sale Catalogue.
NOTWITHSTANDING THIS REPORT OR ANY DISCUSSIONS CONCERNING A LOT, ALL LOTS ARE OFFERED AND SOLD AS IS" IN ACCORDANCE WITH THE CONDITIONS OF BUSINESS PRINTED IN THE SALE CATALOGUE."
拍品資料及來源
I lavori più esemplari di Fausto Melotti sono probabilmente le installazioni monumentali create negli ultimi venti anni della sua vita. In ogni caso, i lavori che Carlo Belli chiama ‘sculture sottili’ (‘Le sculture sottili di Fausto Melotti’, Domus, n. 464, Milano 1968, p. 44) sono alcuni tra i più interessanti della sua intera e multiforme carriera. Questo soprattutto perché fungono da ponte tra i suoi lavori eseguiti prima del 1960 - popolati da dipinti su tela, bassorilievi in terracotta, ceramiche e gesso dipinto - e i ‘picchi’ che avrebbe raggiunto in seguito, come l’unione di elementi astratti e figurativi, senza soluzione di continuità. Questo è stato anche il periodo in cui Melotti ricevette un riconoscimento ufficiale, dopo l’apprezzamento dei critici per i lavori esposti alla Biennale di Venezia del 1966, all’età di 65 anni. Gli scultori successivi a Auguste Rodin hanno avuto la necessità di dimostrare lo stesso grado di audacia concettuale nella scultura, già dimostrato dai colleghi in pittura. Le sculture di marmo e bronzo appartengono all’era pre-guerra; Melotti e i suoi contemporanei hanno dovuto costruire significati in modo innovativo. Come scrive Marco Meneguzzo, “Gli aspetti innovativi portati al linguaggio della scultura e adottati da Melotti non sono derivati da un aggiornamento del linguaggio tradizionale della scultura, ma dall’applicazione delle idee derivate da altri linguaggi a qualcosa che, grazie a lui, noi oggi chiamiamo scultura” (Sul disegno, p. 21). Comunque, questi artisti avrebbero inizialmente sperimentato una simile emarginazione critica come quella vissuta dai loro colleghi modernisti nel campo della pittura, sebbene prima. Nonostante i voti eccellenti in ‘Scultura’ da parte di Adolfo Wildt all’Accademia di Brera, i lavori di Melotti non riuscirono né a essere apprezzati culturalmente, né a fargli ottenere un guadagno economico, in seguito alla sua personale nel 1935. A causa del suo fallimento commerciale, l’artista interruppe la sua produzione personale, passando all’insegnamento e a lavori per Gio Ponti e l’azienda di ceramiche Richard-Ginori. Ciò nonostante, Melotti mantenne forti legami con altri artisti, particolarmente quelli associati alla Galleria Il Milione a Milano, come Lucio Fontana. Soltanto nel 1960, quando la moda per l’astrazione si diffuse maggiormente, l’artista ancora una volta si applicò alle sue creazioni idiosincratiche, che cadono tra la scultura e la pittura.
Le sculture immateriali autoportanti dell’ultimo periodo da dopo il 1958 sono state una conclusione inevitabile ai ‘teatrini’ che Melotti creò dal 1964 al 1966. Egli fu attratto dalla natura tattile e precaria di queste creazioni ad altezza naturale, quasi trasparenti. Ancora più sottili delle figure allungate di Alberto Giacometti, esse si creano e sono costruite grazie all’uso di spazio negativo. Sebbene snelle nella costruzione, si impongono nel volume, allo stesso tempo senza peso potenti. L’esplorazione di Melotti dell’effimero e della memoria riecheggia le iterazioni metafisiche del suo coetaneo e compagno di studi di Brera, Giorgio de Chirico. Le sculture di Melotti si caratterizzano, in modo simile, per una libertà di linguaggio che è sia surreale, sia ironica.
Hotel Dieu combina tecniche e mezzi, dal disegno (con i fili) al design (nella tipografia), all’ingegneria (nella sua struttura architettonica), cosicché sembra in qualche modo inadeguato etichettarla come ‘scultura’. Questa opera è a metà strada tra i ‘teatrini’ di Melotti, le composizioni a tableau che attingono al subconscio umano e i suoi lavori su grande scala (e.g. La sequenza, Pirelli Hangar Bicocca, 1971), del quale questo potrebbe quasi essere un modello di lavoro architettonico. La costruzione in metallo si compone di tre unità rettangolari a forma di scatola, di piccolezza incrementale, rialzate da quattro gambe esili, sormontate dal misterioso segno geografico-linguistico ‘Hotel Dieu’, la cui estraneità per uno spettatore non francese aggiunge un elemento surrealista. Due componenti ospitano piccole figure umane allineate ordinatamente e sollevate su bastoni sottili, in uno spazio architettonico senza muri protettivi o un tetto. I referenti del lavoro diventano più chiari su una comprensione del lessema ‘Hotel’ non come un alloggio desiderato, ma piuttosto come un faux-ami, significando ospedale in francese. La scultura eponima prende il suo nome dall’Hôtel-Dieu de Paris, l’unico ospedale a Parigi fino al Rinascimento e il più antico ancora attivo nel mondo. Le persone che popolano questo spazio, poi, sono pazienti a letto e il loro status precario tra vita e morte è esemplificato dalla fragilità delle strutture che minacciano di crollare su di loro in ogni momento. Il reale edificio dell’ospedale fu distrutto dalle fiamme in diverse occasioni e, anche se non possiamo essere sicuri della conoscenza di Melotti in merito a questo fatto, una spiegazione di questo tipo rende il lavoro ancora meno astratto e offre una motivazione della sua struttura scheletrica. ‘Hotel Dieu’ è di per sé un’interessante dicotomia, riflettendo la natura doppia del lavoro, bloccato tra uno status terreno e uno etereo. Il riferimento esplicito a questo ospedale allinea inoltre Melotti con la tradizione scultorea parigina di Auguste Rodin, nonché ai suoi colleghi nella capitale francese, come l’espatriato spagnolo Pablo Picasso.
Fausto Melotti fu insignito del Leone d’Oro in memoriam il 22 giugno 1986, in seguito a un voto unanime dei giudici. Questo fu solo l’inizio del suo riconoscimento a livello mondiale per ciò che aveva donato alla storia dell’arte.
Fausto Melotti’s most awe-inspiring works are probably those monumental installations created in the last twenty years of his life. However, the works that Carlo Belli termed his ‘thin sculptures’ (‘Le sculture sottili di Fausto Melotti’, Domus, n. 464, Milano 1968, p. 44) are some of the most interesting of his entire protean career. However, the works that Carlo Belli termed his ‘thin sculptures’ (‘Le sculture sottili di Fausto Melotti’, Domus, n. 464, Milano 1968, p. 44) are some of the most interesting of his entire protean career. This is not least because they act as a bridge between his pre-1960s work– populated by paintings on canvas, bas-reliefs in clay, ceramics and painted plaster - and the ‘heights’ that he would later reach, as well as seamlessly marrying abstract elements with figurative ones. This was also the period in which Melotti received official recognition after critical appraisal for works shown at the Venice Biennale in 1966 when he was sixty-five years old.
The sculptors that came after Auguste Rodin needed to demonstrate the same degree of conceptual daring in sculpture already evinced by their peers in paint. Marble and cast-bronze sculptures belonged to a pre-war era; Melotti and his contemporaries had to create meaning in a novel way. As Marco Meneguzzi writes, “The innovative aspects brought to the language of sculpture and adopted by Melotti did not derive from updating traditional sculptural language but from the application of ideas derived from other languages, to something that, thanks to him, we call today his sculpture.” (On Drawing, pp. 21) However, these artists would initially experience a similar critical marginalisation as that felt by their modernist colleagues in painting, albeit somewhat earlier. Having gained top marks in ‘Sculpture’ from Adolfo Wildt at the Accademia di Brera, Melotti’s works gained neither cultural appreciation nor financial gain following his first solo exhibition in 1935. Following his commercial failure, the artist ceased his personal production, turning instead to teaching and marketable work under Gio Ponti for the ceramics firm, Richard-Ginori. Nevertheless, Melotti retained close ties with other artists, particularly those associated with the Galleria Milione in Milan such as Lucio Fontana. It was not until the 1960s, when the fashion for abstraction was more widespread, that the artist once again applied himself to his idiosyncratic creations that fell somewhere between sculpture and painting.
The late period free-standing immaterial sculptures from post-1958 were an inevitable conclusion to the ‘teatrini’ that Melotti had produced from 1964 to 1966. He was drawn by the haptic and precarious nature of these human-height, almost transparent creations. Thinner even than the elongated figures of Alberto Giacometti, they rise up out of and are constructed by way of negative space. Whilst slender in build they are imposing in their volume, at once weightless and powerful. Melotti’s exploration of ephemerality and memory echoes the metaphysical iterations of his contemporary and fellow Brera student, Giorgio de Chirico. Melotti’s sculptures are similarly characterised by a linguistic freedom that is both surreal and ironic.
Hotel Dieu mixes media and techniques, from drawing (with wires), to design (in its lettering), to engineering (in its edificial structure), so that to label it ‘sculpture’ seems somewhat inadequate. This piece is a halfway house between Melotti’s ‘little theatres’, tableau-like compositions that draw on the human subconscious, and his large-scale works (e.g. La sequenza, Pirelli Hangar Bicocca, 1971), of which this could almost be an architect’s working model. The metal construction is composed of three box-like rectangular units of incremental smallness, raised on four slender legs, surmounted by the mysterious geographical linguistic marker ‘Hotel Dieu’, whose foreignness for a non-French viewer adds a surrealist element. Two compartments house cursory human figurines lined up neatly and held aloft on slender staffs, in an architectural space without protective walls or a roof. The work’s referents become clearer upon an understanding of the lexeme ‘Hotel’ not as a desirable lodging but rather as a faux-ami meaning hospital here. The eponymous sculpture takes its name from the Hôtel-Dieu de Paris, the only hospital in Paris until the Renaissance and the oldest one still in operation in the world. The people who populate this space, then, are patients in beds, and their precarious status between life and death is exemplified by the flimsiness of their surroundings which threaten to drop on them at any moment. The actual hospital building was ravaged by fire on several occasions and, while we cannot be sure of Melotti’s knowledge of this fact, an explanation like this renders the work still less abstract as it offers a motive for the skeletal structure. ‘Hotel God’ is an interesting dichotomy in itself, reflecting the dual nature of the work stuck between an earthbound status and ethereality. The explicit reference to this hospital also aligns Melotti with the Parisian sculptural tradition of Auguste Rodin, as well as to his colleagues in the French capital such as the Spanish expatriate, Pablo Picasso.
Fausto Melotti was awarded the Leon D’Oro in memoriam on 22 June 1986, by unanimous vote from the judges. This was only the beginning of a burgeoning worldwide appreciation for that which the artist had donated to the history of art.
Le sculture immateriali autoportanti dell’ultimo periodo da dopo il 1958 sono state una conclusione inevitabile ai ‘teatrini’ che Melotti creò dal 1964 al 1966. Egli fu attratto dalla natura tattile e precaria di queste creazioni ad altezza naturale, quasi trasparenti. Ancora più sottili delle figure allungate di Alberto Giacometti, esse si creano e sono costruite grazie all’uso di spazio negativo. Sebbene snelle nella costruzione, si impongono nel volume, allo stesso tempo senza peso potenti. L’esplorazione di Melotti dell’effimero e della memoria riecheggia le iterazioni metafisiche del suo coetaneo e compagno di studi di Brera, Giorgio de Chirico. Le sculture di Melotti si caratterizzano, in modo simile, per una libertà di linguaggio che è sia surreale, sia ironica.
Hotel Dieu combina tecniche e mezzi, dal disegno (con i fili) al design (nella tipografia), all’ingegneria (nella sua struttura architettonica), cosicché sembra in qualche modo inadeguato etichettarla come ‘scultura’. Questa opera è a metà strada tra i ‘teatrini’ di Melotti, le composizioni a tableau che attingono al subconscio umano e i suoi lavori su grande scala (e.g. La sequenza, Pirelli Hangar Bicocca, 1971), del quale questo potrebbe quasi essere un modello di lavoro architettonico. La costruzione in metallo si compone di tre unità rettangolari a forma di scatola, di piccolezza incrementale, rialzate da quattro gambe esili, sormontate dal misterioso segno geografico-linguistico ‘Hotel Dieu’, la cui estraneità per uno spettatore non francese aggiunge un elemento surrealista. Due componenti ospitano piccole figure umane allineate ordinatamente e sollevate su bastoni sottili, in uno spazio architettonico senza muri protettivi o un tetto. I referenti del lavoro diventano più chiari su una comprensione del lessema ‘Hotel’ non come un alloggio desiderato, ma piuttosto come un faux-ami, significando ospedale in francese. La scultura eponima prende il suo nome dall’Hôtel-Dieu de Paris, l’unico ospedale a Parigi fino al Rinascimento e il più antico ancora attivo nel mondo. Le persone che popolano questo spazio, poi, sono pazienti a letto e il loro status precario tra vita e morte è esemplificato dalla fragilità delle strutture che minacciano di crollare su di loro in ogni momento. Il reale edificio dell’ospedale fu distrutto dalle fiamme in diverse occasioni e, anche se non possiamo essere sicuri della conoscenza di Melotti in merito a questo fatto, una spiegazione di questo tipo rende il lavoro ancora meno astratto e offre una motivazione della sua struttura scheletrica. ‘Hotel Dieu’ è di per sé un’interessante dicotomia, riflettendo la natura doppia del lavoro, bloccato tra uno status terreno e uno etereo. Il riferimento esplicito a questo ospedale allinea inoltre Melotti con la tradizione scultorea parigina di Auguste Rodin, nonché ai suoi colleghi nella capitale francese, come l’espatriato spagnolo Pablo Picasso.
Fausto Melotti fu insignito del Leone d’Oro in memoriam il 22 giugno 1986, in seguito a un voto unanime dei giudici. Questo fu solo l’inizio del suo riconoscimento a livello mondiale per ciò che aveva donato alla storia dell’arte.
Fausto Melotti’s most awe-inspiring works are probably those monumental installations created in the last twenty years of his life. However, the works that Carlo Belli termed his ‘thin sculptures’ (‘Le sculture sottili di Fausto Melotti’, Domus, n. 464, Milano 1968, p. 44) are some of the most interesting of his entire protean career. However, the works that Carlo Belli termed his ‘thin sculptures’ (‘Le sculture sottili di Fausto Melotti’, Domus, n. 464, Milano 1968, p. 44) are some of the most interesting of his entire protean career. This is not least because they act as a bridge between his pre-1960s work– populated by paintings on canvas, bas-reliefs in clay, ceramics and painted plaster - and the ‘heights’ that he would later reach, as well as seamlessly marrying abstract elements with figurative ones. This was also the period in which Melotti received official recognition after critical appraisal for works shown at the Venice Biennale in 1966 when he was sixty-five years old.
The sculptors that came after Auguste Rodin needed to demonstrate the same degree of conceptual daring in sculpture already evinced by their peers in paint. Marble and cast-bronze sculptures belonged to a pre-war era; Melotti and his contemporaries had to create meaning in a novel way. As Marco Meneguzzi writes, “The innovative aspects brought to the language of sculpture and adopted by Melotti did not derive from updating traditional sculptural language but from the application of ideas derived from other languages, to something that, thanks to him, we call today his sculpture.” (On Drawing, pp. 21) However, these artists would initially experience a similar critical marginalisation as that felt by their modernist colleagues in painting, albeit somewhat earlier. Having gained top marks in ‘Sculpture’ from Adolfo Wildt at the Accademia di Brera, Melotti’s works gained neither cultural appreciation nor financial gain following his first solo exhibition in 1935. Following his commercial failure, the artist ceased his personal production, turning instead to teaching and marketable work under Gio Ponti for the ceramics firm, Richard-Ginori. Nevertheless, Melotti retained close ties with other artists, particularly those associated with the Galleria Milione in Milan such as Lucio Fontana. It was not until the 1960s, when the fashion for abstraction was more widespread, that the artist once again applied himself to his idiosyncratic creations that fell somewhere between sculpture and painting.
The late period free-standing immaterial sculptures from post-1958 were an inevitable conclusion to the ‘teatrini’ that Melotti had produced from 1964 to 1966. He was drawn by the haptic and precarious nature of these human-height, almost transparent creations. Thinner even than the elongated figures of Alberto Giacometti, they rise up out of and are constructed by way of negative space. Whilst slender in build they are imposing in their volume, at once weightless and powerful. Melotti’s exploration of ephemerality and memory echoes the metaphysical iterations of his contemporary and fellow Brera student, Giorgio de Chirico. Melotti’s sculptures are similarly characterised by a linguistic freedom that is both surreal and ironic.
Hotel Dieu mixes media and techniques, from drawing (with wires), to design (in its lettering), to engineering (in its edificial structure), so that to label it ‘sculpture’ seems somewhat inadequate. This piece is a halfway house between Melotti’s ‘little theatres’, tableau-like compositions that draw on the human subconscious, and his large-scale works (e.g. La sequenza, Pirelli Hangar Bicocca, 1971), of which this could almost be an architect’s working model. The metal construction is composed of three box-like rectangular units of incremental smallness, raised on four slender legs, surmounted by the mysterious geographical linguistic marker ‘Hotel Dieu’, whose foreignness for a non-French viewer adds a surrealist element. Two compartments house cursory human figurines lined up neatly and held aloft on slender staffs, in an architectural space without protective walls or a roof. The work’s referents become clearer upon an understanding of the lexeme ‘Hotel’ not as a desirable lodging but rather as a faux-ami meaning hospital here. The eponymous sculpture takes its name from the Hôtel-Dieu de Paris, the only hospital in Paris until the Renaissance and the oldest one still in operation in the world. The people who populate this space, then, are patients in beds, and their precarious status between life and death is exemplified by the flimsiness of their surroundings which threaten to drop on them at any moment. The actual hospital building was ravaged by fire on several occasions and, while we cannot be sure of Melotti’s knowledge of this fact, an explanation like this renders the work still less abstract as it offers a motive for the skeletal structure. ‘Hotel God’ is an interesting dichotomy in itself, reflecting the dual nature of the work stuck between an earthbound status and ethereality. The explicit reference to this hospital also aligns Melotti with the Parisian sculptural tradition of Auguste Rodin, as well as to his colleagues in the French capital such as the Spanish expatriate, Pablo Picasso.
Fausto Melotti was awarded the Leon D’Oro in memoriam on 22 June 1986, by unanimous vote from the judges. This was only the beginning of a burgeoning worldwide appreciation for that which the artist had donated to the history of art.