- 5
Giorgio Morandi
描述
- Natura morta
- firmato
- olio su tela
- cm 28,5x52,5
- Eseguito nel 1943
來源
Collezione Roberto Rollino, Roma
Ivi acquisito dall'attuale proprietario nel 2011
展覽
Bologna, Museo Morandi, Stagioni: l'autunno. Capolavori da una raccolta, 1998, illustrato
出版
Condition
"In response to your inquiry, we are pleased to provide you with a general report of the condition of the property described above. Since we are not professional conservators or restorers, we urge you to consult with a restorer or conservator of your choice who will be better able to provide a detailed, professional report. Prospective buyers should inspect each lot to satisfy themselves as to condition and must understand that any statement made by Sotheby's is merely a subjective, qualified opinion. Prospective buyers should also refer to any Important Notices regarding this sale, which are printed in the Sale Catalogue.
NOTWITHSTANDING THIS REPORT OR ANY DISCUSSIONS CONCERNING A LOT, ALL LOTS ARE OFFERED AND SOLD AS IS" IN ACCORDANCE WITH THE CONDITIONS OF BUSINESS PRINTED IN THE SALE CATALOGUE."
拍品資料及來源
An export license is available for this lot
Questa Natura Morta dipinta nel 1943 esprime l’instancabile esplorazione pittorica morandiana; studiando questo stesso soggetto in maniera meticolosa e quasi maniacale, egli è in grado di perfezionarlo ai massimi livelli nelle forme e nei colori. L'opera proviene dalla Collezione Pietro Rollino di Roma, una delle raccolte relative a Morandi più significative del Novecento. Il collezionista entrò infatti direttamente a contatto con il pittore comprendendone precocemente il genio; la collezione era composta da molti dipinti dell'artista, quali ad esempio: Natura Morta del 1943 (Vitali n. 447) e Paesaggio dello stesso anno (Vitali n. 461).
Bottiglie, brocche e vasetti sono infatti soggetti utilizzati da Morandi sin dall’inizio, ma la varietà compositiva rende l’opera complessa e ambiziosa; gli oggetti variano infatti in forme e dimensioni e Morandi li organizza in modo che ognuno di essi dialoghino tra di loro.
Centrale è per il pittore “il teatro della realtà, sul cui proscenio Morandi fa agire i suoi attori, variandone ogni volta la posizione all’interno del contesto percettivo, come parti di una totalità che è frutto ben più alto che la semplice somma degli elementi”. (M. Pasquali, Premessa, in Morandi. Riflessioni sull’opera, Catalogo della mostra alla Galleria Braga, Piacenza, 1991, pag. 12).
I soggetti di questo dipinto, umili oggetti della vita quotidiana, si presentano infatti come attori su un palcoscenico, ognuno col proprio carattere, dialogando tra loro in perfetta armonia di luce e colori, conducendoci in uno spazio estraneo, in una realtà silenziosa e tranquilla.
Questa pace è dovuta anche all’accuratezza di Morandi per ogni minimo dettaglio della sua pittura: “Rispettoso per le proporzioni coloristiche, pure nei trapassi più tenui, nelle sfumature più sfuggevoli, Morandi è un matematico della bellezza pittorica: la sua opera tende sempre ad una perfetta unità tonale”. (G. Scheiwiller, Giorgio Morandi, Torino, 1943).
In un’epoca dominata dalla guerra, Morandi continua a dipingere gli stessi soggetti come fosse separato da ciò che sta accadendo, al riparo nei suoi pensieri, scegliendo una strada di riflessione meditativa.
Il pittore bolognese, pur dipingendo un gruppo limitato di soggetti, fu sempre in grado di rinnovarsi: “L’insistenza su uno stesso tema, invece di indebolire l’espressione, dava all’artista la sicurezza per rarefare o bloccare maggiormente l’immagine, proprio come in un tema con variazioni in cui le successive elaborazioni del tema non indeboliscono o immiseriscono la prima esposizione”. (C. Brandi, Morandi, 1990, Roma, pag. 81-82).
Il pittore stesso definiva così la sua ricerca pittorica: “Vede, se mi fosse concesso di ritornare al mondo, di vivere una seconda vita, credo che non potrei esaurire questo tema”. (Giorgio Morandi, in L. Magnani, Ricordo di Morandi, Rai, 1964).
Come suggerisce Brandi in un saggio del ’39, la poetica di Morandi è senza tempo e nessuno prima di lui tentò questa strada: “Né forse alcuno, prima di Morandi, aveva parlato con tale intensità attraverso l’evocazione di oggetti inanimati, poiché, oltre i supremi valori figurativi – le squisite ricerche cromatiche, le audaci soluzioni spaziali – vi è qualcosa, in queste Nature morte, che oltrepassa, non dico certo il soggetto, ma il loro esser pittura, e sommessamente canta l’umano. Nel momento stesso che quelle fiasche e quelle bottiglie si affermano davanti ai nostri occhi in modo indimenticabile e incomparabile, la loro forma cede a un afflato che le scompone, e riconduce diritto all’animo, all’uomo. Nulla è meno astratto, meno avulso dal mondo, meno indifferente al dolore, meno sordo alla gioia, di questa pittura, che apparentemente si ritira ai margini della vita, e si interessa, umbratile, ai pulverulenti ripostigli della cucina”.
(Cesare Brandi, cit. in Introduzione di V. Rubiu, Morandi, Roma 1990, pag. 13)