Contemporary Art | Milan
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FROM A GENTLEMAN'S COLLECTION
Lot Closed
June 16, 02:56 PM GMT
Estimate
650,000 - 850,000 EUR
Lot Details
Description
FROM A GENTLEMAN'S COLLECTION
GIORGIO MORANDI
(1890 - 1964)
NATURA MORTA
signed; dated 1948 on the reverse
oil on canvas
(firmato; datato 1948 sul retro
olio su tela)
cm 30,7x37; inches 12.08 by 14.56
Framed (con cornice): cm 52.2x58.7x5.1; inches 20.55 by 23.11 by 2
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Galleria del Milione, Milan
Galleria Marconi, Milan
Antonio Mazzotta, Milan
Galleria Farsetti, Prato
Giorgio Irneri Collection, Trieste
Acquired from the above by the present owner (Ivi acquistato dall'attuale proprietario)
Lamberto Vitali, Giorgio Morandi, Catalogo generale, Volume secondo 1948/1964, Milan 1977, n. 626, illustrated
Leverkusen, Städtisches Museum-Schloss Morsbroich, n. d.
"I love Morandi because, even through the undeniable and great filter of his balance, his measure, his 'tone', I find him rich, strong, interested in the tensions of the mind and the darkness of the senses, participant, and sometimes forerunner, of some of the fundamental modern experiences."
Francesco Arcangeli
It is with these words that Francesco Arcangeli decisively underlined the substantial uniqueness and autonomy of the Morandian oeuvre in comparison to his peers in his 1960-61 text published by Edizioni del Milione. The art historian, a pupil of Longhi and his successor at the University Chair in Bologna, seized the "absolute dedication to his world in the art panorama", with unequaled punctuality, while never forgetting that "the stance of an interpretation of Morandi is onerous, also because his growing fame can shape the Italian reality in a decisive manner."
Morandi's fame expresses with clear clarity the etymology of this term. 'Phama' in Ancient Greek means a cry or a voice, a sense which, broadly expanded, is made manifest through both hearing and sight. The reality of Morandi's simple painted objects has been amplified through this voice, subtle, calm, yet firm and inexhaustible, even today. The term 'phama' indicates not only the vehicle with which Morandi's art has come down to us intact, but also testifies to the quality of this message. The etymology of 'phama' in fact also connects to the sacred word 'bhama', which meaning splendour or light. These are the two concepts that in Morandi find an unsurpassed synthesis: a universal language that speaks to us through the clarity of light and the clarity of forms.
Giorgio Morandi's paintings continued to speak in the decades of the 20th Century up to the present day and, among the elective affinities that this voice has been able to weave over the decades, the connection to cinema is particularly pertinent.
The clarity of the light and forms, the mythologised fame of the characters and the sense of translated reality are in fact all characteristics that are part of cinematographic language. No other art form in the second half of the twentieth century, did more than cinema to embody the magic of the light of this 'famous' reality that shines on a screen in the dark. And fame has therefore enveloped the most brilliant exponents of this art - artists, actors, directors, places and objects - with its aura.
The hypnotic and mysterious suspension of Morandi's paintings has entered into several films that have gone down in Italian Post-War history, even as recently as 2009 with Luca Guadagnino's I am love. The artist's connection to Federico Fellini and Michelangelo Antonioni is particularly strong, however. These directors cleverly inserted the works of the Bolognese artist into scenes of La dolce vita (1960), and La notte (1961) respectively. We know that Antonioni's brother, the art dealer Giorgio Balboni, was the link between the director and the painter and, by way of letters, that there was mutual admiration between the two artists.
Like paintings within a painting, the works silently participate in the plot of the film. In the first instance, the painting acts as a spectator of a brief dialogue with which Fellini implicitly expresses his artistic gratitude to the artist; in the second, even more tacitly and harmoniously, the protagonist Marcello Mastroianni executes a touching scene of emotional detachment that reflects the calm static nature of the Natura morta by Morandi hanging on the wall behind him.
The fame that surrounds the works of Giorgio Morandi therefore fully recovers the primordial and positive meaning of the term, unlike the negative meaning that in Latin culture personifies the divine Fame as a gigantic winged monster: "Fame the swiftest of all evils... By night, midway between heaven and earth, she flies through the gloom, screeching, and droops not her eyes in sweet sleep." (Virgil, Aeneid, Book Four).
This is the means to an authentic understanding of Morandi's art, not as a banal legendary icon, but as a supreme bearer of real fame. Just as his friend Arcangeli stated in the introduction to that text from the early 1960s quoted above: "Morandi was the most sincere, highest confirmation... of our way of being; and we will follow that strain as long as we live... This is why the main ambition of this book will be... to understand Morandi not only as a painter and as an artist, but also as a man... outside of his fame which renders everything, and I am not ashamed to say it, a little inhuman and boring. To understand him as a man, I repeat, and of course especially as a man-artist and in relation to his era".
“Io amo Morandi perché, pure attraverso il filtro, innegabile e grande, del suo equilibrio, della sua misura, del suo ‘tono’, lo trovo ricco, forte, interessato alle tensioni della mente e all’oscurità dei sensi, partecipe, e talvolta antesignano, di alcune delle fondamentali esperienze moderne.”
Così Francesco Arcangeli nel suo testo del 1960-61 edito dalle Edizioni del Milione, sottolineava con decisione la sostanziale unicità ed autonomia del percorso morandiano rispetto ai suoi coetanei.
Lo storico dell’arte, allievo di Longhi e suo successore alla cattedra a Bologna, colse, con ineguagliabile puntualità, la “dedizione assoluta al proprio mondo nel panorama dell’arte“, pur non dimenticando che “la posta d’una interpretazione di Morandi è grossa, anche perché la sua fama, destinata a salire nel mondo, può configurare una nostra realtà italiana in un modo piuttosto che in un altro”.
La fama di Morandi esprime con lampante chiarezza l’etimologia stessa di questo termine: phama dal greco attico significa un grido, una voce, un senso che, varimente ampliato, si rende manifesto attraverso sia l’udito che la vista.
La realtà dei semplici oggetti dipinti di Morandi si è amplificata attraverso questa voce, sottile, pacata, eppur ferma e inesauribile, fino ai giorni nostri.
Il termine phama ci racconta non solo il veicolo con il quale l’arte di Morandi è arrivata intatta fino a noi, ma testimonia anche la qualità di questo messaggio.
L’etimologia phama infatti si collega anche al termine sacro bhama, che significa splendore, luce.
Questi sono i due concetti che in Morandi trovano una sintesi insuperabile: un linguaggio universale che ci parla attraverso il nitore della luce e la chiarezza delle forme.
La pittura di Giorgio Morandi ha continuato a parlare nei decenni del Novecento fino ai giorni nostri e, fra le affinità elettive che questa voce ha saputo tessere nel corso dei decenni, quella con il cinema è un legame particolarmente prezioso.
Il nitore della luce, la chiarezza delle forme, la fama mitizzata dei personaggi, quel senso di traslata realtà sono infatti tutte caratteristiche che fanno parte del linguaggio cinematografico.
Mai come il cinematografo, nella seconda metà del XX secolo, ha incarnato la magia di questa luce, di questa famosa realtà che risplende su uno schermo nel buio. E la fama, di conseguenza, ha avvolto con la sua aura i più brillanti risultati di quest’arte, artisti, attori, registi, luoghi, oggetti.
La sospensione ipnotica e misteriosa dei dipinti di Morandi è entrata in alcuni film ormai passati alla storia del dopoguerra italiano, fino a più recenti esempi, come Io sono l’amore di Luca Guadagnino (2009).
Particolarmente saldo ed intimo fu il rapporto con Federico Fellini e Michelangelo Antonioni, che inserirono sapientemente le opere dell’artista bolognese in scene de La dolce vita (1960) l’uno, e La notte (1961) il secondo. Sappiamo ad esempio che il fratello di Antonioni, il mercante d’arte Giorgio Balboni, era stato il collegamento fra il regista e il pittore e, tramite alcune lettere, che fra i due artisti ci fu reciproca ammirazione.
Come quadri in un quadro, i dipinti partecipano silenziosamente alla sceneggiatura del film, nel primo caso il dipinto funge da spettatore di un breve dialogo con il quale Fellini manifesta implicitamente la propria riconoscenza artistica al maestro; nel secondo caso, ancora più in tacita sintonia, il protagonista, Marcello Mastroianni, recita una toccante scena di distacco emotivo che riflette la calma staticità di una Natura morta di Morandi appesa alla parete alle sue spalle.
La fama che avvolge le opere di Giorgio Morandi recupera quindi interamente il significato primoridale e positivo del termine, a differenza dell’accezione negativa che poi nella cultura latina acquisterà la personificazione divina della Fama come un gigantesco mostro alato (È questa fama un mal, di cui null’altro/È più veloce; (...) Vola di notte per l’oscure tenebre/De la terra e del ciel senza riposo,/Stridendo sempre, e non chiude occhi mai. Virgilio, Eneide, Libro Quarto).
E questo è il modo di intendere l'arte di Morandi nel modo più autentico, non come banale icona leggendaria, ma come un sommo artista portatore di fama autentica. Proprio come si prefiggeva l’amico Arcangeli, nell’introduzuone a quel testo dell’inizio degli anni Sessanta sopra citato: “Morandi fu la conferma più schietta, più alta ... d’un nostro modo di essere; e ne porteremo le tracce finché avremo vita, e per quante mutazioni possiamo affrontare. Per questo l’ambizione maggiore di questo libro sarà ... quella di intender Morandi non soltanto come pittore e come artista, ma anche come uomo ... al di fuori da una leggenda che suona, non ho vergogna a dirlo, un po’ disumana e noiosa. Intenderlo come uomo, ripeto; e naturalmente sopratutto come uomo-artista in sè e in rapporto al suo tempo”.