Lot 4
  • 4

KENNETH NOLAND | Raft way

Estimate
180,000 - 250,000 EUR
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bidding is closed

Description

  • Kenneth Noland
  • Raft way
  • firmato, intitolato e datato 1969 sul retro; intitolato sul telaio
  • acrilico su tela
  • cm 124x260

Provenance

Collezione Ing. Lelio, Forlì
Collezione Emilio Mazzoli, Modena
Ivi acquistato dall'attuale proprietario negli anni Ottanta

Exhibited

Venezia, XXXVIII Biennale internazionale d'arte, 1978, p. 52
Modena, Galleria Civica di Modena, Palazzo S. Margherita, 1960-2000 Arte contemporanea nelle collezioni private modenesi, 1998, pp. 68-69, illustrato a colori

Condition

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Catalogue Note

Kenneth Noland nasce nel 1924 ad Asheville, North Carolina. Al rientro dal servizio militare, tra il 1946 e il 1948 decide di utilizzare i fondi stanziati dal governo americano a beneficio dei veterani per dedicarsi a studi artistici sperimentali, tenuti presso il Black Mountain College.

Josef Albers è tra i professori che lo influenza maggiormente, indirizzandolo nello studio di teoria e colore, proprie della Scuola del Bauhaus. Nel biennio 1948-49 studia invece a Parigi, sotto la guida di Ossip Zadkine. Rientrato negli Stati Uniti, a partire dal 1951 comincia la carriera nell’insegnamento, mantenendo cattedre presso l’Institute of Contemporary Art, l’Università Cattolica ed il Washington Workshop Center of the Arts, nella città di Washington D.C.

È proprio nel contesto accademico che conosce Morris Louis, e successivamente Clement Greenberg e Helen Frankenthaler, alcuni tra gli artisti e letterati più importanti per la sua piena maturazione artistica e partecipazione al movimento denominato ‘Color Field Painting’.

Come è vero per molti artisti appartenenti a tale movimento, alla base della pratica artistica di Kenneth Noland risiede il concetto di edge, ossia bordo o confine.
Nonostante questa caratteristica accomuni i diversi artisti negli aspetti formali della loro opera, in Noland essa assume un ruolo di primaria importanza, in quanto funge da guida dei rapporti spaziali tra colore e superficie del supporto pittorico.
Noland tende all’astrazione pura, dove perfino la gestualità dell’uomo è superflua. Per fare ciò sviluppa una raffinata tecnica pittorica, che permette la resa di campiture omogenee direttamente sulla texture della tela priva di imprimitura. Il colore viene dunque liberato dalle modulazioni impresse dalla mano sulla tela, e può sprigionarsi ovunque nel pieno della propria saturazione.

L’artista vincola la forza dei colori così ottenuti all’interno di geometrie ben definite, e per fare ciò si serve sapientemente del concetto di confine. Il risultato è un sorprendente bilanciamento di colori e spazi vuoti, capaci di generare nello spettatore un profondo sentimento immersivo.

Non bisogna però confondere l’opera di Kenneth Noland con i risultati della coeva Optical Art, la quale mirava deliberatamente all’ipnosi visiva dell’osservatore, e dalla quale il pittore si è mantenuto lontano, ritenendola una distrazione dalla più profonda natura dell’astrazione pura.

L’occultamento della mano dell’artista è una caratteristica peculiare che permette di definire gli artisti del 'Color Field Painting' e di identificarli rispetto ai vicini parenti dell’Espressionismo Astratto.

La pratica pittorica di Noland può essere definita come astrazione post-pittorica, proprio perché la mano dell’artista, da sempre primaria manifestazione dell’identità di un autore, viene celata per lasciare spazio all’esclusiva espressività dei componenti elementari dell’opera: geometria e pigmento. Tali elementi divengono perciò i soli mezzi attraverso cui l’artista esprime la propria idea, epurandola da ogni ulteriore alterazione stilistica.

Tuttavia, quando una manifestazione artistica divene così radicale, anche la varietà dei soggetti rappresentabili subisce una radicalizzazione. Le forme geometriche attraverso cui Noland lavora vengono ripetute all’interno di cicli, quali Circles, Chevrons, Shaped canvases ed infine Stripes, al quale appartiene l’opera qui presentata: Raft Way, del 1969.

Questo anno risulta particolarmente proficuo per l’artista, che espone in due mostre personali presso la galleria Lawrence Rubin di New York e René Ziegler a Zurigo, e in tre mostre collettive, tra le quali New York Painting and Sculpture: 1940-1970, presso il Metropolitan Museum of Art di New York.

Di poco antenecedente è inoltre uno dei più grandi risultati professionali dell’artista, ossia la nomina di rappresentanza per gli Stati Uniti d’America alla Biennale di Venezia del 1964. Nei decenni che seguono continua a sperimentare attraverso la tecnica e le forme che lo hanno reso noto. Ai traguardi internazionali come artista di successo seguono numerosi riconoscimenti accademici: nel 1985 viene nominato alla cattedra Milton Avery Professor of the Arts, presso il Bard College, Annandale-on-Hudson, New York e nel 1977 riceve una laurea ad honorem in Belle Arti dal Davidson College, Davidson, Carolina del Nord. Muore nel 2010 a Port Clyde, nel Maine.

Oggi si possono ammirare i suoi lavori presso le collezioni dei più importanti musei quali, tra gli altri, il Centre George Pompidou a Parigi, la Collezione Phillips di Washington D.C., il Whitney Museum of American Art a New York e la Tate Gallery di Londra.


Noland esplora i limiti di una pittura che annienta lo spazio ortogonale e prospettico. Le sue forme, che vengono ripetute e combinate in molteplici varianti cromatiche, sono l’espressione pittorica più prossima alle idee puramente astratte, vive nella mente dell’artista.

 

Kenneth Noland was born in 1924 in Asheville, North Carolina. Upon returning from military service, between 1946 and 1948 he used the funds allocated to war veterans by the American government to devote himself to experimental artistic studies at Black Mountain College.

Josef Albers was certainly his most influential professor, directing him to the study of theory and colour, typical of the Bauhaus School. In the two-year period between 1948 and 1949 Noland moved to Paris, studying under Ossip Zadkine.

Upon returning to the United States, the artist began his career in teaching from 1951, obtaining professorships at the Institute of Contemporary Art, the Catholic University and the Washington Workshop Center of the Arts, in the city of Washington D.C.

It was in this academic context that he met Morris Louis, and later Clement Greenberg and Helen Frankenthaler, some of the artists and writers who would be most important to his full artistic maturity and participation in the movement called ‘Color Field Painting’.

As is true of many artists belonging to this movement, the concept of the ‘edge’, lies at the base of Kenneth Noland's artistic practice.

Despite the fact that this characteristic draws the various artists’ practices together, in Noland it takes on a role of primary importance, as it acts as a guide to the spatial relationships between colour and the surface of the pictorial support.

Noland tends towards pure abstraction, where even human gestures are superfluous. To do this he developed a refined pictorial technique, which allows the rendering of homogeneous backgrounds directly on the texture of the canvas without priming. Colour is thus freed from modulations impressed by the hand on the canvas and can be placed anywhere, fully saturating the surface.

The artist constrains the strength of the colours within well-defined geometries, and to do this he uses the concept of the boundary skilfully.

The result is a surprising juxtaposition of colours and empty spaces, capable of generating a feeling of deep immersion in the viewer.

Kenneth Noland's work must not be confused with the results of the coeval Optical Art movement, which deliberately aimed at visual hypnosis of the observer, and from which Noland shied away, considering it a distraction from the deeper nature of pure abstraction.

The concealment of the artist's hand is exemplary of the artists of ‘Color Field Painting’ differentiating them from their contemporaries, the Abstract Expressionists.

Noland's pictorial practice can be defined as post-pictorial abstraction, precisely because the artist's hand, which had always been the primary manifestation of an author's identity, is hidden to make room for the exclusive expressiveness of the elementary components of the work: geometry and pigment. These elements thus become the only means by which the artist expresses his idea, purging it of any further stylistic alteration.

When artistic manifestation becomes this radical, the variety of representable subjects also undergoes radicalisation. The geometric shapes with which Noland works are repeated in cycles, such as Circles, Chevrons, Shaped canvases and finally his Stripes, the series to which this work belongs.

This was a particularly profitable year for the artist, who exhibited in two solo exhibitions at the Lawrence Rubin gallery in New York and René Ziegler in Zurich, and in three group exhibitions, including New York Painting and Sculpture: 1940-1970, at the Metropolitan Museum of Art in New York.

Furthermore, just a few years earlier, the artist had achieved the greatest of professional accolades, namely the nomination to represent the United States of America at the 1964 Venice Biennale. Over the following decades he continued to experiment with the techniques and forms that made him famous. International achievements as a successful artist were followed by numerous academic awards: in 1985 he was appointed to the Milton Avery Professor of the Arts chair at Bard College, Annandale-on-Hudson, New York and in 1977 he received an honorary degree in Fine Arts from Davidson College, Davidson, North Carolina. He passed away in 2010 in Port Clyde, Maine.

Today you can admire his works in the collections of the most important museums such as the Centre George Pompidou in Paris, the Phillips Collection in Washington DC, the Whitney Museum of American Art in New York and the Tate Gallery in London.

Noland explored the limits of painting, destroying orthogonal and perspective space. His shapes, which are repeated and combined in multiple colour variations, are the pictorial expression closest to the purely abstract ideas which reside in the mind of the artist.