- 25
Salvatore Scarpitta
Description
- Salvatore Scarpitta
- Gravity
- firmato, intitolato, iscritto e datato 1963 sul retro
- bende, olio e tecnica mista
- cm 55,5x52,5
Provenance
Galleria dell’Ariete, Milano
Exhibited
Londra, M&L Fine Art, Salvatore Scarpitta. Material X, 2016, tav. 11, illustrato
Condition
"In response to your inquiry, we are pleased to provide you with a general report of the condition of the property described above. Since we are not professional conservators or restorers, we urge you to consult with a restorer or conservator of your choice who will be better able to provide a detailed, professional report. Prospective buyers should inspect each lot to satisfy themselves as to condition and must understand that any statement made by Sotheby's is merely a subjective, qualified opinion. Prospective buyers should also refer to any Important Notices regarding this sale, which are printed in the Sale Catalogue.
NOTWITHSTANDING THIS REPORT OR ANY DISCUSSIONS CONCERNING A LOT, ALL LOTS ARE OFFERED AND SOLD AS IS" IN ACCORDANCE WITH THE CONDITIONS OF BUSINESS PRINTED IN THE SALE CATALOGUE."
Catalogue Note
An export licence is available for this lot
“Io non ho mai letto Il barone rampante, ho fatto il rampante per conto mio”.
Così Salvatore Scarpitta riassume in un’intervista la sua lunga e rocambolesca vita, divenuta spunto per un racconto di Italo Calvino: Il barone rampante. Calvino si era ispirato a una storia raccontata dall’artista in una serata romana, secondo la quale un bel giorno da ragazzo era salito su un albero di pepe e aveva deciso di rimanerci il più a lungo possibile. Si tratta ovviamente di una vicenda letteraria e, in quanto tale, sviluppata sino all’estremo, eppure alla sua origine troviamo l’aneddoto di Scarpitta, che si rivela eloquente. Dopo 34 giorni, il giovane Scarpitta scende dall’albero di pepe, ma solo fisicamente; metaforicamente, scegliendo di diventare un’artista, egli reitera il protocollo iniziale rimanendo, per così dire, con la testa tra gli alberi. Sembra solo un gioco: eppure in quell'episodio c'è già un po' dell’equilibrio instabile fra vita e sogno, fra impegno e avventura, fra testardaggine e intelligenza che farà il cuore adulto di Salvatore Scarpitta: uno degli artisti più grandi, e più fortemente poetici, del Novecento.
Scarpitta, per certi versi, ha avuto poco da un mondo dell'arte spesso avaro di riconoscimenti con i suoi veri protagonisti e, nonostante sia stato sottovalutato rispetto i pionieri artistici del dopoguerra, finalmente rifulge del suo splendore, grazie alla riconosciuta approvazione attribuitagli in questi ultimi anni. Egli ha vissuto la più bella stagione dell'arte romana, nel cuore di quegli anni Cinquanta che hanno visto esplodere le genialità di Burri, Afro, Turcato, Scialoja, Capogrossi, Accardi, Sanfilippo, di Dorazio e di tanti altri. Poi, a New York, dove si ritrasferisce nel 1959, ha regolarmente esposto da Leo Castelli, con il quale stabilì un intenso rapporto di amicizia: “Leo ed io eravamo come fratelli”, ricorda l’artista.
Dopo una fase espressionista-astratta si evidenzia, intorno al 1957, una svolta nel suo lavoro. Come egli stesso dichiara: “I primi quadri sono stati i quadri strappati, in cui ho letteralmente strappato la tela ad olio. La tela a olio mi era diventata talmente ostile che per trovare una certa pace con me stesso ho dovuto strapparla e questi pezzi strappati li ho fatti diventare degli oggetti che chiamavo quadri”. La tela cruda e grezza è una materia ostile, che resiste al suo artista: l’unica soluzione che si presenta a Scarpitta è perciò quella di strapparla e decomporla, di sconvolgerne la forma. In questo contesto il colore perde importanza, restano delle tracce parzialmente assorbite dalla tela, come se ne fossero parte integrante.
Perciò, come Cosimo, il protagonista del romanzo di Calvino, Scarpitta sperimenta un sentimento di oppressione e, sempre come lui, cerca una via di fuga. L’artista confrontandosi con lo spazio circoscritto della tela, si senta costretto e cerca un’uscita, un’apertura, un movimento verso un altro luogo. Le sue ricerche si basano sulla tangibilità della tela: “Ho mantenuto l’attenzione sulla tela, per far sì che la tela fosse sempre la protagonista, sebbene il gesto non mi interessasse, mi interessava invece solo la qualità della tela, la qualità del materiale […] Ho sempre cercato di immedesimarmi sempre più con il materiale, nel suo modo di presentarsi e di essere”.
Eseguito nel 1963, Gravity è un esempio emblematico dei quadri con le bende di Scarpitta, una serie di dipinti d’avanguardia, iniziata a Roma nel 1957. Così l’artista descrive questi suoi lavori: “Una mia opera o sta insieme o non sta insieme e quindi non può essere programmata, perché io lavoro sul vivo, sul processo stesso. Ciò è accaduto già nel 1957, quando ho cominciato, ma non sapevo cosa venisse fuori, sapevo solo che le mie tele erano ferite e quindi bisognava bendarle. Difatti, Alberto Moravia mi chiamava “il pittore dal braccio rotto”. Comunque, sulle fasciature è stato detto di tutto, anche che hanno relazioni con quelle delle mummie, ma a me sinceramente colpiva la fasciatura dei volanti delle automobili da corsa, o delle biciclette: è da lì che vengono”.
In questi quadri con le bende c’è tutta la vita, la passione per la vita, l’energia della vita di Scarpitta. Messa in relazione con le opere innovative prodotte dai suoi contemporanei, Alberto Burri e Lucio Fontana, quest’opera è un esempio d’innovazione; l’invenzione della tela avvolta conduce a un livello di astrazione in cui la tela diventa protagonista assoluta del lavoro, la materia è la tela stessa, rivela la sua trama, la sua forza, le sue lacerazioni (debolezze). Le opere bendate di Scarpitta segnalano in maniera eclatante un nuovo approccio minimalista alla tela, che diviene un oggetto artistico tridimensionale. Così, paradigmatico di questa drastica sperimentazione e grazie alla sua carica drammatica, Gravity è un vero capolavoro di questo ossequiato e ambito corpus artistico.
“I have never read Il barone rampante, I did rampant on my own”
In this way in an interview Salvatore Scarpitta sums up his long and incredible life, that has become the starting point for a novel of Italo Calvino: Il barone rampante. Calvino was inspired by a story told by the artist on a Roman evening, according to which one fine day, when he was a young boy, had climbed on a pepper tree and had decided to stay there for as long as possible.
This is obviously a literary event and, as such, developed to the extreme, though to its origin is the anecdote of Scarpitta, which reveals itself eloquent. After 34 days, the young Scarpitta gets off from the pepper tree, but only physically; metaphorically, choosing to become an artist, he reiterates the initial protocol remaining, so to speak, with his head between the trees.
It just seems like a game: but in that episode there is already a bit of the unstable balance between life and dream, between commitment and adventure, between stubbornness and intelligence that will make the adult heart of Salvatore Scarpitta: one of the greatest artists, and more strongly poetic, of the twentieth century.
Scarpitta, in some ways, has had a little from a art world often lacking recognition with its true protagonists, and despite he has been underestimated compared to the post-war art pioneers, he finally shines out of its splendor, thanks to his recognized approval in recent years.
He has lived the most beautiful season of the Roman art, in the midst of those Fifties that have seen exploding the genius of Burri, Afro, Turcato, Scialoja, Capogrossi, Accardi, Sanfilippo, Dorazio and many others.
Then, in New York, where he moves in 1959, he regularly exhibited at Leo Castelli, with whom he established an intense relationship of friendship: "Leo and I were like brothers," the artist remembers.
After an expressionist-abstract phase, around 1957, a break in his work emerged.
As he states: “The first paintings were the torn paintings, where I literally ripped off the oil canvas. The oil canvas had become to me so hostile that to find some peace with myself I had to tear it and I made these torn pieces become objects that I called paintings”.
The harsh and rough canvas is a hostile matter, which resists its artist: the only solution that comes to Scarpitta is to rip it off and decompose it, to disrupt its shape.
In this context the color loses importance, that are traces left which are partially absorbed by the canvas, as if they were an integral part.
So, like Cosimo, the protagonist of Calvino's novel, Scarpitta experiences a feeling of oppression and, always like him, he is looking for a way to escape.
The artist confronting himself with the space within the canvas, feels constrained and looks for a way out, an opening, a motion that leads him somewhere else. His researches are based on the canvas tangibility: "I have kept my focus on the canvas in order to make sure the canvas would always be the main character, even though the gesture did not interest me, I was interested in the quality of the canvas (...) I have always tried to immedesimate myself more in the material in its way of presenting and being itself".
Executed in 1963, Gravity is an emblematic example of Scarpitta's works made with bandages, a series of Avant Gard works that he started in Rome in 1957.
This is how the artist describes his works: "one of my works either holds itself together or not, thus it can't be planned because I execute my work live, while executing it. This happened already in 1957, when I started these works, not knowing yet what the outcome was going to be, all I knew was that the canvases were scars that needed to be bandaged.
In fact Alberto Moravia would call me " the artist with the broken arm". In any case about the bandages a lot has been said, even that they are related to the mummies, but what fascinated me were the cars' wheels and bicycles bandages, that is where they come from. In these paintings with bandages there is an entire life, there is passion for life, Scarpitta's vital energy. Compared to the innovative works of art executed by his fellow artists like Alberto Burri and Lucio Fontana this work is an example of innovative art, the invention of the wrapped canvas leads to a level of abstraction that makes the canvas the absolute main character of the work, the matter is the canvas itself which reveals its plot, its strength, its weaknesses. The bandage works by Scarpitta open up to a new minimal approach to the canvas that becomes a three dimensional artistic object.
Thus, paradigmatic of this drastic experience and thanks to its dramatic force, Gravity is a real masterpiece of this important series of works.