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Mario Ceroli
Description
- Mario Ceroli
- Cinquecento
- legno *(Wood, Other-Beechwood)
- cm 113x250x6,5
- Eseguito nel 1964
Provenance
Exhibited
Catalogue Note
L'automobile assume dal suo apparire e per tutto il Novecento un carattere mitico-simbolico. Dal suo irrompere deflagrante nelle città, suscitando nei Futuristi ideali di velocità, forza dinamica, capacità di trasformazione fino ad allora sconosciuti, l'automobile diviene un termine di confronto costante per le arti figurative, per la pubblicità e più in generale per l'immaginario collettivo.
Nel Dopoguerra in particolare il tema dell'automobile sembra assumere connotati sempre diversi, tanto da rendere impossibile ravvisare un indirizzo comune fra interpretazioni così diverse – basti pensare alle compressioni di Cesar, alle automobili di Scarpitta o ai Car Crash di Warhol – a testimonianza dell'accrescimento dell'importanza simbolica assunta da questo mezzo di trasporto.
Ceroli ne offre in questo straordinario esempio un'interpretazione del tutto autonoma, inedita e sofisticata: innanzitutto sceglie il modello più popolare ed accessibile del tempo - la già leggendaria Fiat Cinquecento – e la riduce al minimo termine di profilo, trasformandola quasi nell'archetipo della vettura, di per se stessa modello minimo, embrionale, dell'automobile. E con un tocco geniale tramuta il contenuto di ingranaggi meccanici e l'involucro metallico nella loro radice naturale, divenuti come per incanto lignei, trasformando così in scultura immobile e naturale il simbolo stesso della tecnologia in movimento. Se la scelta dell'automobile utilitaria potrebbe far avvicinare quest'opera alle tematiche della cultura Pop, che si sviluppava proprio in quegli anni, il processo trasformativo in materiale naturale al quale l'artista la sottopone, si attagliano in modo ben più deciso agli stimoli germinali dell'Arte Povera. Non casualmente quindi la Cinquecento, recentemente riapparsa alla luce in una collezione privata, figura fra le opere della celeberrima mostra sull'Arte Povera del 1967 a Genova curata da Germano Celant.