Lot 285
  • 285

Mario Sironi

Estimate
400,000 - 500,000 EUR
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Description

  • Mario Sironi
  • Paesaggio con tempio
  • olio su tela
  • cm. 72x82,5
  • Eseguito nel 1930

Provenance

Collezione Margherita Sarfatti, Roma
Collezione Amadeo Sarfatti, Venezia
Collezione Privata, Biella
Ivi acquistato dall'attuale proprietario

Exhibited

Cortina d'Ampezzo, Galleria Farsetti, Omaggio a Sironi, 1971, tav. IX, illustrato
Milano, Galleria Philippe Daverio, Mario Sironi. Metodo e tecnica, Milano 1984, n. 24, fig. 33, illustrato
Milano, Padiglione d'Arte Contemporanea, Sironi ed il mito dell'architettura, 1990, pag. 50, tav. 27, illustrato
Siracusa, Cripta del Collegio, Sironi, 1998, tav. 9, illustrato
Arona, Villa Ponti, Femme fatale. Da Modigliani a Warhol, 2004, pag. 125, illustrato

Catalogue Note

Il tema della classicità permea tutta l’Arte italiana della prima metà del Novecento, nelle forme del rifiuto a vantaggio di un inno alla modernità come nel Futurismo; dell’impossibilità di riproposizione come nella poetica dechirichiana; della nostalgia di un equilibrio ormai non più attuabile per gli artisti che, nei primi Anni Venti, propugnavano appunto un ritorno all’ordine.

Sironi affronta il tema della classicità attraversando tutte e tre queste modalità, ampliandone successivamente i confini verso forme originalissime di interpretazione, fino alla dissoluzione della forma classica stessa.

 

Il soggetto del presente dipinto – Paesaggio con tempio – racchiude al proprio interno dei motivi esemplari della classicità: la natura come paesaggio, l’architettura classica e la figura umana. Temi questi tutt’altro che nuovi per Sironi, se consideriamo che gli stessi temi, declinati in una forma storica a lui più attuale, costituivano i temi della sua precedente meditazione: paesaggi urbani, figure umane, architetture, spesso investite di un’aura di sacralità o manifestamente sacre – come nelle raffigurazioni delle cattedrali degli anni Venti.

La classicità, come riferimento alla cultura figurativa antica, nasce come intima necessità nella giovinezza dell’artista – e non solamente come modello formativo al quale ispirarsi – e accompagnerà tutto lo sviluppo della poetica del pittore: venticinquenne, nel 1910, lo vediamo, nelle parole affrante del suo amico Boccioni, quasi ossessionato dal modello classico: “Sironi completamente pazzo. Chiuso in sé e sempre in casa (...) Lo stavano per rinchiudere in una casa di salute. Immagina che ha la casa piena di gessi e copia in tutti i sensi per 20 o 25 volte una testa greca!!!” (cit. in F. Benzi, Mario Sironi: il percorso della pittura, in Mario Sironi, catalogo della mostra, Milano, 1993). 

 

Tuttavia in Sironi la meditazione sulla classicità non assurge mai a citazione puramente formale di stilemi e motivi di derivazione antica, né si traduce in rimpianto per una compiutezza stilistica ormai irripetibile, in un ordine irrimediabilmente perduto.

Come Paesaggio con tempio magistralmente mostra, il paesaggio classico di Sironi non è un’evocazione del paesaggio bucolico virgiliano, retto dall’armonia fra natura, divino e umanità, termini ormai distinti e separati fra loro. Il riferimento dell’artista sembra guardare ad un’epoca anteriore della classicità, il modello appare più arcaico, epico – non casualmente è di questi anni la rilettura de Le opere e i giorni  di Esiodo – dove il mondo naturale, divino e umano sono ancora plasmati in un tutt’uno indistinto e integrato, dove quindi  la sacralità del tempio rimanda alla sacralità della natura nella quale la figura umana è immersa. Figura umana che a sua volta mostra decisamente i connotati non di un’individualità specifica, psicologicamente individuata, bensì rimanda –-nella postura e nel colore- al proprio modello ideale concretizzato nella statua antica.

 

Tempio e statua – assurti a concretizzazione del sacro e dell’umano – dialogano fra loro giustapposti in un paesaggio tutt’altro che arcaicizzante e neoclassico: le pennellate dense e grumose cancellano ogni possibilità di contorno, i colori terrosi delle montagne sono appena rischiarati dalla luce quasi notturna del blu del cielo.

 

Paesaggio con tempio è del 1930, due anni prima della pubblicazione del Manifesto della pittura murale firmato da Sironi insieme a Campigli, Carrà e Funi; l’opera presenta già delle caratteristiche della pittura murale lungamente accarezzata e ricercata da Sironi e che troverà una definitiva espressione nel 1932 : “Indubbiamente, il lento ma progressivo affermarsi delle aspirazioni a realizzare della pittura murale costituisce il fenomeno più importante e più interessante dell’oggi pittorico". (cit. in F. Benzi, Mario Sironi e Margherita Sarfatti. Alle origini della pittura murale, in "Mario Sironi 1885-1961", Milano 1993). Possiamo già notare nell’opera l’esigenza d’ampiezza decorativa, di chiarezza espositiva e la necessità di una superficie sempre più estesa, di più vasto respiro, non per perseguire solo un puro ingrandimento, ma per conferire maggiore importanza alla suggestione dell’ambiente. Sembra quasi che lo spazio tra il tempio, la solitaria barca a vela, l’albero e la statua, sia insufficiente, infatti in Paesaggio con tempio troviamo già le grandiose concezioni sironiane, come il mito iconografico della costruzione, che sarà elemento ricorrente delle successive opere murali. Fondamentale la vicinanza a Sironi di Margherita Sarfatti a condurlo verso la pittura murale che lo porterà alle grandi composizioni degli anni Quaranta e Cinquanta.

 

Il quadro è stato parte della collezione di Margherita Sarfatti e sembra interpretare in modo completo le sue indicazioni estetiche descritte all’epoca della prima mostra del “Novecento Italiano”: “Un’arte che sembri di tutti, e sia nell’essenza per i migliori, perchè tutti possano intenderne i lati descrittivi, non ermetici, semplici, e tutti possano presentirne oscuramente l’afflato di mistero spirituale interiore, che non viene dagli artifici della forma, ma dal senso profondo del prodigio che è alle radici dell’essere. E solo gli eletti possono sprofondare senza fine negli abissi di questo miracoloso divenire e fluire della vita senza morte, che è l’arte.” (M. Sarfatti, Alcune considerazioni intorno alla prima mostra del Novecento italiano, in “Il Novecento Italiano”, 1926, a.I, n.1)