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Giuseppe Canella (Verona 1788 - Firenze 1847)
Description
- Giuseppe Canella
- veduta di una spiaggia di mare col levar della luna
- firmato e datato in basso a destra Gius. Canella 1840
- olio su tela
- cm. 73 x 100
Exhibited
Milano, Accademia di Brera, Esposizione delle opere degli artisti e dei dilettanti nelle Gallerie della I.R. Accademia di Belle Arti per l’anno 1841, 1841, sala V, n. 44.
Literature
G. S., Giudizio d’un amatore sull’esposizione dei lavori di Belle Arti dell’anno 1841, Milano 1841, p. 8., citato
Catalogue Note
Identificabile con l’olio di proprietà d’Enrico Mylius presentato da Giuseppe Canella all’annuale esposizione di Brera del 1841, Veduta di una spiaggia di mare col levar della luna è riconducibile a quel nucleo di opere attraverso le quali il pittore veronese -dopo un viaggio in ambiente viennese e tedesco avvenuto nel 1837, durante il quale viene a contatto con gli esiti più aggiornati del romanticismo tedesco degli inizi del secolo- s’inserisce in modo innovativo nel panorama artistico milanese e, con una precisa volontà di superamento di certa pittura di paesaggio, propone la propria come un’alternativa d’avanguardia, in sintonia con le tendenze internazionali più avanzate.
Veduta di una spiaggia di mare col levar della luna, come il coevo Plenilunio delle collezioni della Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia ed altre poetiche vedute del periodo, interiorizzate ma mai stucchevoli ed apprezzate dai collezionisti del tempo, proprio per la freschezza delle novità introdotte, mostra le caratteristiche linguistiche tipiche del linguaggio maturo dell’artista, un linguaggio, sì, aggiornato romanticamente, ma ancor più moderno, più attento alla definizione del vero e della realtà quotidiana, in una sorta di naturalismo ante litteram che fa affermare all’anonimo critico de “Le glorie” che il Canella “se ti dipinge un tramonto osservato sul mare, t’illude sì che tu credi d’essere là su la sponda appunto […] o se egli si piace di rappresentarti la notte, più oltre che sorge la Luna a colorire di soave mestizia la terra […] la brezza notturna ti sembra sentire aleggiarti intorno al volto, e tutto senti nell’animo il sublime spettacolo della natura. Cielo ed acqua tu vedi ed una vela peschereccia lontan lontano, e cielo ed acqua ancora, e nulla più; solo che su questa sponda, su la quale pare a te di trovarti, vedi un pescator che ritorna, o che va a tuffare in mar le sue reti, e ti palpita il cuore pensando all’umano ardimento che affronta con mezzi sì finiti l’immensità.”(cfr. “Le glorie delle Belle Arti esposte”, 1838, p. 110-111). Il taglio sintetico del paesaggio, l’essenzialità descrittiva, la fluidità della stesura pittorica ed un vivo cromatismo del cielo cangiante, insieme alla presenza preponderante della natura rispetto alle figure, fanno sì che gli alti valori pittorici prevalgano sulla narrazione, anche se, grazie ad una visione ravvicinata del punto di vista, le macchiette conseguono proporzioni più rilevanti, tali da introdurre nel dipinto anche alcuni caratteri tipici della cronaca di costume, quali l’abito di foggia spagnola di un pellegrino raccolto in preghiera attorno alla piccola cappella in riva al mare.
Da come si evince dai due timbri posti sul retro della tela, il dipinto, commissionato da Enrico Mylius prima dell’esposizione di Brera, è entrato, poi a far parte della sua ricca collezione con altri due dipinti del medesimo Canella, due opere d’impostazione “prospettica” quali l’Ave Maria, interno del Duomo di Milano ed un non meglio identificato Interno di chiesa.